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La Playlist delle Bertucce III

Anche quest'anno riprende il progetto de "La Nuova Bertuccia"! Torniamo con la terza pubblicazione della rubrica "La Playlist delle Bertucce".



EPITAPH King Crimson



Forse non famosa come la compagna di album "21st Century Schizoid Man", "Epitaph" è comunque una delle canzoni più conosciute e apprezzate del gruppo prog rock "King Crimson". La melodia e gli strumenti, sempre molto presenti e con suoni puntualmente ricercati, fanno da sfondo a un testo che risulta una poesia, un racconto e un lamento. È la voce di un uomo che, senza comprendere cosa gli riserva il futuro, sente l'angoscia dentro di sé, e "la paura di ritrovarsi a piangere domani". Epitaph ha il fascino di essere un inno all'incertezza, alla paura di ciò che accadrà, che non si può prevedere. Ci attende la morte, ma quando arriverà? È dietro l'angolo o si farà aspettare? Tutto può finire in un istante, e senza rendercene conto qualcuno starà scrivendo un epitaffio a nostro nome, ma noi non saremo nemmeno in grado di esprimerci, abbandonati i piani per il futuro, che è sempre più in decadenza, in "mano degli sciocchi", ogni fondamento viene abbattuto e ci rimane solo il timore di quello che abbiamo davanti.

C'è chi, analizzando questo brano, pensa che si tratti delle parole di un soldato in guerra, impaurito, che non sa se domani verrà ucciso e come; ma io credo che sia riduttivo dargli solo questa interpretazione. "Epitaph" parla a ogni uomo e ogni donna, alla loro paura di non conoscere quello a cui ci sta portando il presente, impotenti di fronte a un mondo che sta impazzendo, in una condizione precaria di camminare su un "percorso rotto e crepato", solo la confusione come certezza.


-Riccardo Di Noto, 5B




UNDER THE BRIDGE Red Hot Chili Peppers



Nell'immaginario collettivo, i Red Hot Chili Peppers degli albori, sono il classico esempio della band che campa a suon di hardcore, giacche in pelle e groove luciferino, ma in questo pezzo troveremo ben altro.

La canzone, pubblicata nel marzo del 1992 e inserita nell'album "Blood Sugar Sex Magik" permette a Anthony Kiedis di spogliarsi di ogni armatura, e mostrarsi nudo in un lungo dialogo con l'ascoltatore.

Il titolo 'Under the Bridge' si riferisce ad un ponte di Los Angeles sotto il quale il frontman era solito drogarsi di speedball.

Nata come poesia, la canzone riguarda la storia del cantante e della sua dipendenza dall'eroina e dalla cocaina, divenute dipendenze sin da prima dell'adolescenza.

In Under the bridge, il cantante raccoglie tutte le riflessioni sull'impatto che una vita fatta di abusi e droghe, aveva avuto sulle sue relazioni umane e non di meno quella con se stesso.

Aveva visto morire davanti a lui, a causa della speedball, il chitarrista che insieme a lui aveva fondato la band, Hillel Slovak, e aveva perso per lo stesso motivo la compagna Ione Skye, attrice britannica che lo lasciò a causa della dipendenza dalle droghe del cantante.

La città si rivela essere l'unico reale confidente dell'autore, che si aliena completamente in sé stesso. Nell'ultimo climax della canzone possiamo cogliere tutto lo strazio e le potenzialità della sua scrittura, che finalmente vede distante quel ponte, su un piano emotivo e temporale.


-Martina Zullo, 5AL




LA VITA VERAMENTE Fulminacci



Singolo che dà nome all'album di esordio di Filippo Uttinacci, in arte Fulminacci, "La vita veramente" racconta di quelle che sono le debolezze e le fragilità di una vita che non sembra mai abbastanza "vera", abbastanza "pura", filtrata com'è dalla tendenza all'essere da una parte troppo centrati su sé stessi e dall'altra troppo preoccupati di ciò che pensano gli altri: due facce, queste, della stessa identica medaglia.

Al bravo Filippo, che in questo album ed in particolare in questo pezzo si mette a nudo con una schiettezza che non può non piacere, non rimane che chiedersi... com'è la vita veramente? La vita di chi riesce a godersi il momento ("non sono mai stato a parlare per ore senza pensare che lo sto facendo"), quella di chi non vive continue contraddizioni ("odio gli artisti, i narcisisti, ma sono pazzo di me"), in sostanza quella di chi non è capace solo di "esprimersi", ma anche di "comunicare" con gli altri, entrando in un rapporto profondo con loro.

Una canzone che vi farà scoprire un'artista riflessivo e geniale e che ha ancora tanto, ma davvero tanto da raccontare.


-Silvia Blonda, 4BU




RAWNALD GREGORY ERICKSON THE SECOND STRFKR



Camminando per strada. Correndo in bici. Guardando fuori dal finestrino della macchina. Occupandosi delle faccende di casa. O semplicemente rilassandosi dopo una lunga giornata. Questa canzone ha un che di splendidamente nostalgico e adolescenziale che ti farà sentire essere il protagonista del tuo proprio ‘coming of age film’ americano.

Il titolo è il nome del migliore amico di high school del cantante Josh Hodges; egli stesso dice in un’intervista:”sono le stesse note, e lo stesso ‘Rawn’(Rawnald). E’ probabilmente una delle mie canzoni preferite e una delle mie persone preferite”.

Composta dalla ripetizione della stessa strofa, il cantante osserva il suo migliore amico pian piano allontanarsi da lui e prendere una strada diversa. Chiede in modo quasi timido se per una volta Rawnald può fermarsi e godere la compagnia l’uno dell’altro.

Non è un pezzo che richiede tanta attenzione. Nella sua semplicità richiama quei istanti di totale spensieratezza in cui uno dimentica tutto quello che ha intorno e non può che vivere nel momento: le giornate estive passate osservando le nuvole, il calore sulla pelle, una leggera brezza tra i capelli e il sorriso di un amico.


-Ivanna Yakovlyeva, 5AL




SOME THINGS WE DO Swans



Gli “Swans” sono un gruppo misterioso ed eclettico che dall’inizio degli anni 80’ costella la propria discografia con sempre nuove sperimentazioni: dai suoni aspri della No wave Newyorkese all’ambient e il Folk.

Some things we do, appartenente al penultimo LP del gruppo, To Be Kind, è un brano che parla dell’uomo.

L’intero pezzo è costituito dalla voce calda di Micheal Gira che elenca con un’anafora cadenzata le azioni umane, ridotte al loro gelido scheletro.

_We heal, we fuck, we pray, we hate

We reach, we touch, we lose, we taste_

La melodia che accompagna il testo sembra suggerire un punto di vista lontano, alienato: gli archi e le distorsioni danno l’impressione di ritrovarsi nel cosmo per una passeggiata, interrotta però dall’osservazione di un piccolo pianeta abitato da esseri viventi galvanizzati, occupati nelle loro imprese quotidiane ripetitive e prive di significato.

Ascoltare questo brano permette quindi di assentarsi momentaneamente dal proprio ruolo di essere umano, per contemplare gli instancabili ingranaggi della nostra specie, riconoscendone sia la vuota assurdità, sia l’affascinante bellezza


-Giovanni Casarin, 4B




MONEY The Drums



Money, inserita nell' album Portamento e rilasciata il 13 settembre 2011, è una di quelle canzoni che ti lascia in uno stato di agitazione estremo, frutto di un ritmo isterico e del tutto iperattivo.

I the Drums sono una delle band newyorkesi più forti che si trovano nella mia playlist, adolescenti wertheriani spaventati e pieni d'amore incompreso ed inespresso, artisti leggeri ma tutt'altro che ingenui o naif come potrebbero apparire ad un primo ascolto.

Nel loro album "Portamento", termine coniato nel seicento che indica il passaggio vocale tra due note differenti, si dimostrano essere ancora una volta consapevoli seppur ancora grezzi, giovani che si lasciano andare d'innanzi all'ascoltatore con un pizzico di amarezza e rabbia.

Un uso delle tastiere estremamente originale, ispirato ad alcuni artisti di fine anni Sessanta come Wendy Carlos o i Kraftwerk degli albori e un accenno alle tastiere vintage che ritroviamo anche nel titolo dell'album, che richiama proprio una delle funzioni in uso in alcuni synth di fabbricazione italiana. Era sostanzialmente un controller che riusciva a creare effetti molto dolci e posati, mentre si passava da una nota ad un' altra. Possiamo dire che in questo album accada tutto con estrema ed eclettica fluidità.

Il brano "Money" è sostanzialmente un inno a un cuore sincero che prova e riprova nel suo intento, ma fallisce miseramente. “Parla semplicemente del fatto di essere un perdente per natura"


-Martina Zullo, 5AL




NO RAIN Blind Melon



Con un motivo iniziale così allegro, un paio di note dolci, tra chitarra elettrica e acustica, suoni semplici ma efficaci, "No Rain" nasconde in realtà una grande tristezza nelle parole del testo. È proprio questa antitesi tra melodia e parole che rende più facile ascoltare il brano, e che potrebbe ingannare i primi ascoltatori.

Forse non è il componimento più esplicativo del gruppo dei "Blind Melon", ma sicuramente tra i più conosciuti, e anche tra le più iconici. Brad Smith, il bassista, afferma di aver scritto il pezzo prima di fondare la band, quando frequentava una ragazza che soffriva di depressione. Secondo le sue parole: "La canzone parla di non essere in grado di scendere dal letto e trovare scuse per non affrontare la giornata"; e canta di quella demotivazione, che può portare una persona a chiedersi per cosa va ancora avanti, in una vita così piatta. Quelle lamentele e l'assenza di voglia di fare, che potrebbero essere scambiate per semplice pigrizia, sono invece sintomi di un male interiore, nascosto, difficile da riconoscere. E magari chi è attorno a noi non è in grado di capirlo, pensa si tratti solo di un punto di vista, che siamo fuori di testa.

Ma nella realtà si tratta di una di quelle malattie che una persona accanto può aiutare a combattere: una persona che rimanga con noi, nonostante tutto; ma se siamo soli e il mondo attorno non ci capisce, allora ci lamentiamo del cielo che non piange con noi, senza mandare neanche un po' di pioggia a farci compagnia.


-Riccardo Di Noto, 5B


La playlist su spotify: https://open.spotify.com/playlist/3X1CzKjOTCe1YwjTWAviNd

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