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Caso Khashoggi

“Tra i Paesi europei che ho visitato, l’Italia non ha mostrato grande appoggio per la mia causa. Perché questo silenzio? Non mi aspetto che boicottiate l’Arabia Saudita, è naturale che i leader mondiali proteggano i loro interessi economici, ma devono dire qualcosa sull’assassinio di Jamal Khashoggi. Se il prossimo novembre andranno al G20 a Riyadh e non solleveranno la questione, legittimeranno le azioni del Regno”


Queste sono state le dichiarazioni di Hatice Cengiz, compagna del reporter assassinato, Jamal Ahmad Khashoggi, rilasciate a Roma lo scorso 16 Dicembre 2019 durante l’evento “Non c’è pace senza giustizia”.


Dietro alle sue parole traspare sicuramente frustrazione e rammarico per uno dei gialli contemporanei che, a distanza di più di un anno, presenta ancora grandi interrogativi.

Tutto inizia il 2 ottobre 2018 quando Khashoggi, insieme alla compagna, si reca al consolato saudita a Istanbul- in qualità di dissidente del regime saudita di Salman, il giornalista si era di fatto autoimposto un esilio dal suo paese natale dal 2017-. Il reporter, lasciata la compagna in auto, entra nel consolato per ritirare dei documenti per il loro matrimonio, senza però far più ritorno.


Dalle indagini della polizia turca è emerso che una squadra di forze speciali saudite è atterrata proprio il 2 ottobre a Istanbul, utilizzando auto con targhe diplomatiche nella zona del consolato dove Khashoggi si è recato. Nella stessa giornata tutto il personale del consolato è stato invitato a prendersi un giorno di riposo. Le telecamere di sorveglianza hanno registrato solo l’entrata del giornalista, ma non la sua uscita. Il quotidiano filogovernativo turco Yeni Safak riferisce di una registrazione audio da cui emerge che Khashoggi sarebbe stato torturato e fatto a pezzi dentro al consolato saudita.


(Khashoggi entra al consolato)


Poche settimane fa, esattamente il 23 dicembre 2019, la Procura Generale del Regno Saudita ha annunciato che cinque persone sono state condannate a morte mentre altre tre all’incarcerazione, tutti funzionari del Regno. Sono stati però assolti il consigliere del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, il console generale dell’Arabia Saudita a Istanbul Mohammed al-Otaibi e l’ex numero due dell’intelligence, Ahmed al-Assiri, negando così un vero e proprio coinvolgimento del principe nella morte del giornalista.

Ma nonostante questa sentenza, l’Onu ritiene che gli assassini di Khashoggi non possano aver agito in autonomia. Agnes Collard (relatrice speciale Onu) sostiene che tutto il processo sia una farsa, una copertura e, insieme alla polizia turca, ritiene che ci siano le prove evidenti del coinvolgimento dei funzionari reali.


Secondo la Cia è stato proprio il principe Bin Salman ad aver ordinato l’omicidio di Khashoggi perché considerato una minaccia per il paese a causa dei suoi articoli contro la casa reale.

L’assassinio del reporter saudita, quindi, risulta essere agli occhi del mondo anche un tentativo di incutere timore alla stampa in un paese come l’Arabia Saudita dove diritti umani (soprattutto per le donne) e libertà di espressione sono precari, e le censure ormai sono avvenimenti all’ordine del giorno. Come riteneva Khashoggi, le aperture manifestate in quest’ultimo periodo (ad esempio il permesso di guidare concesso alle donne) non sono altro che operazioni di facciata, fumo negli occhi per migliorare l’immagine dell’Arabia.


03/01/2020



-Filippo Branni, 4B

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