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"Canti del Caos"

“Perché non c’è pace, non c’è riposo? Perché ogni cosa viene separata così violentemente da se stessa? Perché queste povere cellule che vengono da lontane galassie e da esplosioni avvenute miliardi di anni fa continuano a separarsi violente mente, a tormentarsi? Per quale ragione? Perché? Perché tutto questo configurarsi, annientarsi? […] Io non so chi sono. Dio può essere solo chi non sa chi è”.


“Che cos’è quest’essere vivente che pulsa tra le mie mani? Io ero convinto di star leggendo un libro!”


Questa è all’incirca la reazione che scaturisce dalla lettura dell’opera mondo di Antonio Moresco, Canti del Caos preceduta da Gli esordi e seguita da Gli Increati nella trilogia di tremila pagine che ha impegnato l’autore per oltre trent’anni.


Il racconto si configura come una fiaba colossale costellata da una miriade di personaggi pittorici che deflagrano l’uno contro l’altro in vicende assurde, ma dense di lirismo: un traslocatore, un sovrano africano in cyclette, un ginecologo spastico, modelle scartavetrate che prendono fuoco, un papa che scioglie la chiesa e decine di altri.


Moresco nelle vesti del matto si incammina idealmente al di fuori della scatola buia in cui è chiuso per raggiungere una dimensione mai pensata prima d’ora, che otterrà il suo dominio nell’opera successiva: Gli Increati. È da qui che si delinea Il concetto di letteratura per come lo intende l’autore: l’unico mezzo possibile per uscire dalle tenebre che ci avvolgono, per poter sfondare, per poter inventare. La stessa figura di Dio con la sua maschera di porcellana appare vuota e sconsolata di fronte all’insensatezza del mondo che ha creato tanto che decide di venderlo. Il nichilismo è però per Moresco soltanto un punto di partenza, una consapevolezza a cui è necessario ribellarsi: stare fermi è impossibile.


A tratti violento e osceno, a tratti dolce e trascendentale Canti del Caos è un romanzo che non può lasciare indifferenti ed è destinato ad infliggere al lettore uno squarcio irreversibile che lo condurrà in nuovi spazi e gli produrrà nuovo tempo.

La narrazione stratificata su vertiginosi piani meta letterari, la descrizione di personaggi grotteschi e l’invenzione linguistica per raccontare l’inenarrabile sono elementi che trasformano la semplice lettura in una protuberanza di vita che è in grado di lasciare ricordi vividi e sogni anche a distanza di tempo.


Antonio Moresco è il matto, l’esiliato della nostra letteratura contemporanea e Canti del Caos la sua opera più ostracizzata, ma al contempo la più esplosiva, la più creativa e la più abissale.

Scoprire questa creatura, o meglio increatura, permette di interfacciarsi con qualcosa a cui evidentemente non siamo pronti e forse non saremo mai, come non lo siamo alla Commedia di Dante Alighieri o al Moby-Dick di Melville.


Avere il coraggio di accettare questa sfida significa lasciare la propria traccia sull’embrione di un classico che ha già iniziato a parlare e non finirà mai quel che ha da dire.



-Giovanni Casarin, 3B

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